• Aprile 2018 •

Dopo diversi passi ecco che ricompare un autore che mi ha appassionato, Osho, questa volta con il suo libro La gioia di vivere pericolosamente. Come sempre, quando inizio a scrivere un nuovo passo, subito i miei occhi corrono verso la prima sottolineatura, che in questo caso riporta

Se davvero vuoi cambiare il mondo inizia da dove sei.

Questa esortazione credo sia applicabile in qualsiasi contesto e, soprattutto, in qualsiasi punto del proprio cammino. Troppo spesso infatti la nostra “idea motrice” non fa in tempo a nascere nella nostra mente, che iniziano ad affiorare altri pensieri del tipo “Se avessi questo sarebbe più facile”, “Quando sarò arrivato lì, allora potrò procedere” oppure il più pericoloso di tutti: “Domani comincerò ad occuparmene”. Nella sottolineatura, il termine “mondo” si riferisce a quello che percepiamo. Ti invito a rileggere il passo Ricordati chi sei anima antica, dove parlo del percepito e di chi percepisce, così ti sarà più chiaro seguire le mie considerazioni. Riassumendo in breve, il tuo mondo è percepito e quindi, se cambi la tua percezione, cambia il tuo mondo. In questo processo non cercare conferma dei tuoi cambiamenti con gli altri, perché

nessuno può dire qualcosa di te; qualsiasi cosa le persone dicano si riferisce a loro.

Questo ovviamente vale anche per te. Ogni altra persona è uno specchio, come ho discusso in molti dei passi precedenti, che ti permette di fare esperienza di te attraverso gli altri. Stiamo parlando di noi e degli altri come fossero entità separate, e lo sono nella percezione, ma ormai, se hai percorso insieme a me i miei passi, non dovresti fare particolare fatica a considerare che a un altro livello di consapevolezza queste separazioni perdono di significato.

Nel tuo percorso di scoperta dubita sempre, sia delle nuove informazioni a cui attingi, sia di tutte le credenze consolidate in te, perché

se credi in qualcosa, non riuscirai mai a sperimentarlo personalmente.

Con questa affermazione si intende il fatto che quando si crede in qualcosa, lo si dà per scontato e non lo si mette mai in discussione. È proprio sulle nostre credenze che si basa il mondo percepito, che ci impedisce di fare esperienza, che rappresenta l’unico modo cha abbiamo per essere consapevoli. Spesso le nostre credenze sono così forti che ci immobilizzano, ed è per questo che nei miei passi esorto spesso se non ad accettare (non sia mai che sia io il mezzo per instillare una nuova credenza), almeno a considerare un nuovo punto di vista, per portare il ragionamento su di un piano inesplorato. Successivamente, dopo questo cambio di prospettiva, sarà il momento di sperimentare gli effetti di quei pensieri (che da consci dovranno radicarsi man mano nell’inconscio) sulla percezione.

Puoi essere felice solo se diventi te stesso.

Questo ci dice Osho, e quel te stesso è colui che è privo di credenze perché fa esperienza, non nel mondo esterno, ma attraverso il mondo esterno, per scoprire cosa c’è oltre il proprio ego. Quello che troviamo è prima di tutto la nostra coscienza, che utilizza la nostra mente congiuntamente all’ego, e infatti a volte nasce un contrasto fra queste due entità. C’è un altro livello a cui tendere, che descriverò dopo aver riportato la prossima sottolineature, la quale afferma che

La coscienza è qualcosa che ti viene fornito dagli altri, mentre la consapevolezza è necessariamente una tua conquista.

Osho intende che la coscienza è data dal confronto con gli altri o, estendendo il concetto, alle interazioni con il mondo percepito, ma c’è qualcosa di più, che è necessariamente unico. Attraverso la consapevolezza, si può giungere a ciò che si trova ben al di là dell’ego e della coscienza, che è quella che io chiamo Coscienza (questa volta con la C maiuscola), che è l’unica entità che davvero fa esperienza, utilizzando il sogno che viviamo con il nostro corpo all’interno della realtà percepita, per potersi osservare come ho già avuto modo di descrivere nei miei passi precedenti.

Ogni esperienza può essere tale solo se la stiamo realmente vivendo. Con questo intendo che molto spesso, mentre facciamo qualcosa, stiamo pensando ad altro. Mentre qualcuno ci parla, stiamo già pensando alla risposta da dare; mentre siamo in una riunione al lavoro, pensiamo alle attività che si stanno accumulando e di cui dovremo occuparci subito dopo; quando guidiamo poi, o più in generale quando eseguiamo attività che abbiamo imparato ad automatizzare, siamo sempre da un’altra parte con la mente. Questo vale anche per attività a lungo termine, come i progetti per la nostra vita. Quante volte miriamo a un obiettivo, senza accorgerci che quello che ci porta verso il suo raggiungimento sono i singoli passi che compiamo? Come fare quindi?

La chiave consiste nel compiere qualsiasi azione in modo totale, con gioia e delizia.

In questa modalità, ogni istante può donarci tutto quello che ci è necessario in quel momento, permettendoci di comprendere appieno le cose, trasformandoci da persone che credono di aver compreso a persone che incarnano la conoscenza. Osho afferma che

credere significa semplicemente nascondere la propria ignoranza. Conoscere significa trasformarsi: solo la vera conoscenza porta comprensione – e questo conoscere non consiste nell’accumulo di informazioni, bensì nella sintesi, nell’integrazione di tutto il tuo potenziale.

La sintesi a cui si riferisce consiste nell’integrazione delle tre figure che cita nel testo, che in misura diversa fanno parte di ogni persona. Sta parlando dello “scienziato”, che raffigura la parte di noi che accumula nozioni, dell'”artista” che esprime ciò che sente e del “mistico” che attraverso la meditazione raggiunge una nuova consapevolezza. Se le prime due figure portano a delle evidenze nel mondo che ci circonda, quella del mistico nasconde agli altri ciò che avviene al proprio interno. C’è sempre un contrasto fra ciò che è al di fuori di noi e quello che è solo al nostro interno (anche se questa separazione in realtà non esiste, quando si giunge alla comprensione che tutto dipende dalla Coscienza, che fa cadere completamente concetti quali dentro, fuori o noi), ma spesso ci ritroviamo a giungere a questa conclusione di Osho:

Riconoscere l’inutilità di ciò che non si possiede è davvero difficile. Possedere una cosa e riconoscere che è priva di senso invece è semplice.

Ad una prima lettura potrebbe non esserti chiaro, ma prova a pensare a tutte quelle “cose” che hai tanto desiderato e che alla fine hanno perso in ben poco tempo il loro potere di portarti quella felicità che promettevano (o meglio che tu percepivi come una promessa). Questo processo avviene continuamente, fino a che non ci rendiamo conto che non è la soddisfazione di desideri materiali, o di conoscenze legate al percepito, che ci appaga, ma riscoprire il proprio Sé originario, eliminando tutti gli strati che ci hanno tramutato in una persona diversa da quella che siamo. Non solo il raggiungimento di questo stato originale, ma anche tutto il percorso di riscoperta ci dona felicità, che non è qualcosa da ricercare altrove, ma un modo d’essere. Per essere, o per riprendere quanto appena scritto, per tornare ad essere il proprio Sé, è necessario “sottrarre” piuttosto che “aggiungere” definizioni di noi stessi.

Mi rendo conto che soffermarsi su tutte queste considerazioni possa essere scoraggiante, se non troviamo la giusta strada da percorrere, ma dobbiamo portare gentilezza a noi stessi, perché non tutto è comprensibile attraverso la nostra mente. Ci sono stati diversi periodi nella mia vita, in cui ho potuto sperimentare aspetti contrastanti fra loro, come la fede e la razionalità, per poi giungere a quello che non voglio chiamare spiritualità, per non incorrere in false definizioni troppo spesso associate a New Age o correnti affini, e che nella prossima sottolineatura Osho chiama religiosità (altro termine che porta fuori strada la maggior parte delle persone).

La scienza suddivide la vita in due categorie: il conosciuto e lo sconosciuto. La religiosità, invece, la divide in tre: il conosciuto, lo sconosciuto e l’inconoscibile

Quello che conta non sono le parole (infatti in altri testi Osho dice che il miglior modo per spiegare le cose è il silenzio), ma la comprensione personale dei significati più sottili.  Conosciuto e sconosciuto ci sono familiari come concetti, e se non siamo bloccati dalle nostre paure, il primo ha come scopo l’annullamento del secondo, almeno fino a che non si scontra con il terzo concetto presentato: l’inconoscibile. Quest’ultimo non è la sconfitta della conoscenza, ma solo il punto in cui la mente e il sapere non possono più fornirci spiegazioni, e dobbiamo procedere per altre vie per arrivare alla consapevolezza. Questa nuova scoperta mi ha portato a realizzare che non è necessario comprendere tutto, quanto piuttosto fare esperienza di ciò che avviene oltre la nostra percezione.

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