• Febbraio 2019 •

Il sottotitolo di questo libro è “Come funziona il nostro cervello quando pensa, sente, decide”, è io non mi sono ancora stancato di cercare di capirlo, sia come strumento fondamentale per la comprensione, sia come limite alla stessa. Ecco quindi perché La vita segreta della mente di Mariano Sigman mi era sembrata una buona lettura.

La prima sottolineatura non fa riferimento a funzionamenti “meccanici”, quanto piuttosto a un circolo (vizioso o virtuoso a seconda dei casi) biologico/sociale, perché

ciò che è sociale cambia il cervello, e questo a sua volta definisce ciò che siamo come esseri sociali.

L’ambiente che ci circonda non è indifferente, e ci plasma. Va però detto che vale anche il viceversa, sia dal punto di vista biologico, attraverso la neuroplasticità, che nel contesto sociale perché, come ho scritto in altri miei passi, cambiare il modo di pensare, cambia la realtà percepita. Questo lo afferma anche l’autore, quando scrive che

la ricetta biologica che separa gli ottimisti dai pessimisti non sta nella loro capacità di valutare le cose buone, ma nelle loro possibilità di ignorare e dimenticare le cose brutte.

In realtà, come spiego nei miei passi Ricordati chi sei anima anticaNo time for karma, non si tratta di ignorare o dimenticare, ma di perdonare, nel senso più profondo di eliminare gli effetti che qualcosa nel passato genera sul nostro presente.

La successiva sottolineatura è quasi subito dopo la precedente, in termini di parole scritte dall’autore, ma dal punto di vista concettuale è molto distante. Rileggo che

se tutti siamo l’eccezione, la regola smette di esistere.

Mi sono chiesto cosa significhi, scansando il significato che emerge alla prima lettura, e la risposta che nasce da questo tentativo ha a che vedere con la percezione di noi stessi. Tutti pensiamo di essere unici, e questo pensiero deriva dall’ego che si rafforza nel corso della nostra vita. Se provate a sforzarvi, troverete un tempo, sfumato e sfilacciato nella vostra infanzia, in cui non era così evidente il concetto di voi e dell’altro. Questa divisione si crea ben presto, ed è data prima di tutto dall’affinamento dei sensi, che percepiscono sempre più qualcosa “al di fuori” di noi, ma soprattutto dalle interazioni sociali, dove io e te lasciano velocemente spazio a mio e tuo. Il concetto di io diventa sempre più Io, trasformandoci nella nostra particolare eccezione. Parafrasando quindi l’ultima sottolineatura, se tutti siamo l’eccezione, l’Uno smette di esistere. Ed è questa nuova idea che, se si insinua in noi, dà il via al processo inverso. Partiamo dall’essere un’eccezione e con un processo sottrattivo ci avviciniamo a ogni passo al ritornare Uno. In questo percorso, l’ego cerca in ogni modo di farci desistere, perché lasciarci fare significherebbe perire, e sai qual è il terreno di questa battaglia? La nostra mente, condivisa fra ego e coscienza.

Progetto di una psicologia

Non li riporto quasi mai, perché amo maggiormente soffermarmi sulle sottolineature, che sono le parole che hanno toccato qualcosa in me al tempo della lettura, ma a volte metto anche dei segnalibri nei testi che leggo. Quello che ritrovo dopo l’ultima sottolineatura, sembra darci un punto d’osservazione per alcune scene della battaglia che ho descritto, da una prospettiva particolare: quello dei nostri neuroni, spiegati molto tempo prima di avere le conoscenze scientifiche attuali, da Freud, nella sua opera Progetto di una psicologia.

In quest’opera, Freud pose le basi per la prima rete neuronale, identificando tre precise tipologie di neuroni. I phi (φ) sono i neuroni sensoriali, vivono nel presente e, una volta trasmessa l’informazione (che sia derivante dall’ambiente esterno o interno non cambia), se ne dimenticano, perdendo la carica elettrica che la rappresentava. Un altro tipo di neuroni, chiamati psi (ψ), permette alle nostre memorie di non abbandonarci, immagazzinando informazioni. Se da un lato i phi rappresentano il presente, e i psi la memoria, Freud si rese conto che la coscienza, che di per sé rielabora esperienze passate e attraverso stimoli presenti delinea un futuro, non poteva risiedere in nessuno dei due tipi di neuroni ipotizzati, per cui definì un terzo tipo, i neuroni omega (ω). Riepilogando, i neuroni phi (sensazioni) attivano i neuroni psi (memoria) che a loro volta attivano i neuroni omega (coscienza). Questo significa che la coscienza nasce dall’inconscio e non dalla nostra parte conscia. Questa intuizione di Freud è stata poi confermata dagli esperimenti di Libet, di cui parlo nel passo Biocentrismo, dove apro una digressione sul libero arbitrio. Quello che non riporto in quel precedente passo, e che deriva da alcune considerazioni sulle evoluzioni dei primi esperimenti di Libet, di cui scrive l’autore, si ricollega alla battaglia precedente. Lo stesso Libet disse che la coscienza non ha diritto di voto, ma di veto. Questo significa che la coscienza non ha la capacità di dare inizio a un’azione, che abbiamo detto nascere nell’inconscio, ma può manipolarla o fermarla quando ne diviene consapevole.

Nasce quindi un dubbio esistenziale. Dobbiamo lasciare agire il nostro inconscio, che già decide per noi prima che siamo coscienti, o è preferibile esercitare il nostro diritto di veto per determinare le nostre decisioni? Se ci pensi, l’ultima parte della domanda non ha molto senso, in quanto non potremmo realmente “decidere”, ma solo opporci ad azioni che non vogliamo attuare. Questa “opposizione”, a lungo termine, ci priva di energie e ci pone in un contrasto perenne con la nostra esistenza più profonda. Quindi? L’unica scelta è lasciare che tutto scorra, senza nessun veto, permettendo che l’inconscio ci guidi? Non credo, o meglio, non subito. Abbiamo smesso di parlare dell’ego, ma io penso che esso sia strettamente legato con l’inconscio, e più precisamente con quella parte di inconscio che nasce dalla moltitudine di strati che posiamo attraverso le reazioni alle nostre esperienze di vita. Mano a mano che toglieremo strati, riavvicinandoci all’inconscio originale, avrà sempre più senso lasciargli spazio, per farci guidare verso esperienze che non potremmo comprendere altrimenti, troppo presi a bloccare chi non vogliamo essere, invece di essere chi siamo sempre stati.

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