• Prima di partire • Novembre 2011 •

Quando fui colpito dal fato, avevo un’idea abbastanza precisa di me, con delle forti convinzioni che (ho scoperto poi) servivano a sostenere l’immagine che avevo di me stesso.

Se volessi definirmi in maniera asettica, direi che ero laureato, convinto delle mie basi scientifiche che davano una spiegazione a (quasi) tutto, cattolico, con una definizione di questa condizione che derivava da una commistione fra le imposizioni della società in cui ero immerso e la mia concezione che ne eliminava alcuni paradossi. Avevo delle idee precise su ogni argomento di mio interesse, che si trattasse di cose concrete o di cose che non potevano avere una spiegazione (che però io DOVEVO trovare). C’era anche qualcos’altro in me, che non era nessuna delle altre cose, ma che non sapevo definire.

Passò almeno un anno prima che mi decidessi a (cominciare a) lasciare andare il senso che forse era di rabbia per aver dovuto subire quella percossa. Da quel momento capii che doveva cambiare qualcosa in me. Ad esempio i miei schemi mentali non prevedevano che mio padre morisse prima dei miei nonni, che erano anziani e quindi per non so quale regola avrebbero dovuto precederlo come suoi genitori in questo passaggio di stato. Questo era solo uno dei miei preconcetti, o meglio una delle strutture che negli anni avevo consciamente o inconsciamente costruito per sostenere la persona che volevo essere o, con il senno di poi, che volevo gli altri vedessero quando mi osservavano.

Da questo punto, più che di partenza, direi di consapevolezza, credo che si siano susseguiti degli eventi che abbiano in qualche modo influenzato il percorso. In questo modo ho potuto notare aspetti che avrebbero creato successivamente, in un incastro multidimensionale, quello che dovevo esperire senza necessariamente darmi una spiegazione logica, come avevo sempre fatto in precedenza.

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