• Dicembre 2014 •
Il 3 Aprile 2014 ho scritto un post su Facebook che riportava
Spazio e tempo non sono oggetti o cose, ma piuttosto strumenti della nostra comprensione: “portiamo lo spazio e il tempo in giro con noi, come le tartarughe con i propri gusci”. Nel senso che quando il guscio si stacca (spazio e tempo), noi esistiamo ancora.
citando questo link.
Da quel momento ci sono voluti circa 9 mesi prima che mi capitasse per le mani il libro Biocentrism di Robert Lanza, ma da allora tanti schemi mentali hanno iniziato a cambiare. Il libro è in inglese perché in quel momento non era ancora stato tradotto in italiano, ma la mia voglia di leggerlo era più forte del timore di perdere qualche dettaglio a causa della lingua. Per chi ha difficoltà con l’inglese, scriverò una traduzione delle citazioni, ma in uno dei prossimi passi troveremo la versione in italiano dello stesso libro, che non mi sono lasciato sfuggire appena pubblicata, per ritrovare proprio quei dettagli. Voglio gettarmi subito sulle sottolineature, per entrare nei ragionamenti di Lanza, che sono molto lontani da quelli in cui siamo stati immersi finora. La prima riporta:
Without perception, there can be no reality
Senza percezione, non può esserci realtà. Questo perché la sua teoria del Biocentrismo pone l’organismo vivente al centro di tutto, quindi se non ci fosse vita non ci sarebbe neanche realtà (o meglio la realtà che chiamiamo con quel nome). La seconda sottolineatura procede sulla stessa linea e ritrovo:
We can believe and aver that there’s a universe out there even if all living creatures were nonexistent, but this idea is merely a thought and a thought requires a thinking organism.
Possiamo credere e affermare che esista un universo là fuori anche se tutte le creature viventi fossero inesistenti, ma questa idea è solo un pensiero e un pensiero richiede un organismo pensante. Tutto procede lungo la sua linea di pensiero, con l’aggiunta dell’aggettivo “pensante” all’organismo, ponendo le basi per approfondimenti sul concetto che sia il nostro pensiero a creare la realtà. Proviamo ora a comprendere meglio questo concetto, considerando le tre sottolineature seguenti:
Motion per se is not what is really occurring. Rather, it is a series of separate events. This may be a first indication that the forward motion of time – of which the movement of the arrow is an embodiment – is not a feature of the external world but a projection of something within us, as we tie together things we are observing. By this reasoning, time is not an absolute reality but a feature of our minds.
Per farvi comprendere il contesto, qui Lanza fa l’esempio di una freccia che viene scoccata da un arco, e cerca di descrivere quello che noi vediamo come il movimento in un lasso temporale, legando il concetto di spazio e tempo. Il movimento in sé non è ciò che sta realmente accadendo. Piuttosto, è una serie di eventi separati. Questa potrebbe essere una prima indicazione del fatto che il movimento in avanti del tempo – di cui il movimento della freccia è un’incarnazione – non è una caratteristica del mondo esterno ma una proiezione di qualcosa dentro di noi, mentre leghiamo insieme le cose che stiamo osservando. Con questo ragionamento, il tempo non è una realtà assoluta ma una caratteristica delle nostre menti.
Time is the inner form of animal sense that animates events – the still frames – of the spatial world. The mind animates the world like the motor and gears of a projector.
Il tempo è la forma interiore del senso animale che anima gli eventi – i fotogrammi immobili – del mondo spaziale. La mente anima il mondo come il motore e gli ingranaggi di un proiettore. Siamo noi che quindi creiamo il movimento, a partire da eventi nell’istante attuale, l’unico ad esistere realmente.
Space and time are not things – the kind of objects that we can see, feel, taste, touch, or smell. There is a peculiar intangibility about them. We cannot pick them up and put them on a shelf, like shells or stones found at the shore. A physicist cannot bring back space or time to the laboratory in a vial, like an entomologist collects insects to be examined and classified. There is something oddly different about them. And that is because space and time are neither physical nor fundamentally real. They are conceptual, which means that space and time are of a uniquely subjective nature. They are modes of interpretation and understanding.
Lo spazio e il tempo non sono cose – il tipo di oggetti che possiamo vedere, sentire, gustare, toccare o annusare. C’è un’intangibilità peculiare su di loro. Non possiamo raccoglierli e metterli su uno scaffale, come conchiglie o pietre trovate sulla riva. Un fisico non può riportare spazio o tempo al laboratorio in una fiala, come un entomologo raccoglie gli insetti per essere esaminati e classificati. C’è qualcosa di stranamente diverso in loro. E questo perché lo spazio e il tempo non sono né fisici né fondamentalmente reali. Sono concettuali, il che significa che lo spazio e il tempo sono di natura unicamente soggettiva. Sono modalità di interpretazione e comprensione. Spazio e tempo sono quindi concetti, non cose, anche se è quasi impossibile che dopo aver letto questa affermazione ognuno di noi non abbia, anche implicitamente, rigettato questa affermazione. Com’è possibile, che qualcosa come lo spazio e il tempo in cui ci sentiamo immersi da sempre, non sia tangibile? Quello che posso suggerire, per meglio seguire il cammino tracciato da questi passi, riguarda la vostra predisposizione mentale a considerare (non necessariamente accettare) punti di vista anche molto distanti dai propri. Anche solo non scartarli a priori vi consentirà di trasformare i vostri schemi mentali, per giungere attraverso la vostra esperienza ad una personale nuova comprensione delle cose. In questa trasformazione, ricordate che:
“Name the colors, blind the eye” is an old Zen saying, illustrating that the intellect’s habitual ways of branding and labeling creates a terrible experiential loss by displacing the vibrant, living reality with a steady stream of labels.
“Definire i colori, acceca gli occhi” è un vecchio detto Zen, il quale illustra che i modi abituali dell’intelletto di marchiare ed etichettare creano una terribile perdita esperienziale sostituendo la vibrante, vivente realtà con un flusso costante di etichette. Cerchiamo quindi di assorbire conoscenza, piuttosto che comprenderla attraverso concetti e classificazioni.
We “see” separations between objects only because we have been conditioned and trained, through language and convention, to draw boundaries.
“Vediamo” le separazioni tra oggetti solo perché siamo stati condizionati e addestrati, attraverso il linguaggio e le convenzioni, a delimitare i confini. “Addestrati” dai nostri genitori prima di tutto e successivamente dal nostro sistema di trasferimento della conoscenza e “condizionati” dai nostri sensi e dalla necessità di trovare un’identità individuale, rispetto a un’esistenza più ampia. Al tempo della lettura del libro, avevo già delle mie idee sul tempo, che è palesemente soggettivo (un’ora scorre più velocemente quando siamo in fila dal medico o quando siamo immersi nella nostra attività preferita?) e quindi più facilmente immaginabile come qualcosa che è influenzato (non avevo mai pensato che fosse “creato” addirittura) da noi. La cosa che mi ha realmente stupito è leggere che anche lo spazio possa ricadere in considerazioni di questo tipo. E se iniziassimo a pensare non solo allo spazio e al tempo come qualcosa che creiamo? Se il nostro “vivere” influenzasse ciò che ci circonda?
What could this mean? asked Schrödinger. Are we to believe, if we find a dead, rotting cat, that the animal had been suspended in an anything’s-possible state until a moment ago when the box was opened? That it only appears as if it’s been dead for days? That the cat really was both dead and alive, as Copenhagen would insist, until someone opened the box and therefore established the entire sequence of past events? Yes. Exactly. (Unless the cat’s consciousness counts as an observation, so that the initial wave-function collapses then and there, and needn’t wait for a human to open the box days later.)
Cosa potrebbe significare questo? chiese Schrödinger. Dobbiamo credere, se troviamo un gatto morto e in decomposizione, che l’animale è stato sospeso in uno stato “dove tutto è possibile” fino a un momento fa, quando la scatola è stata aperta? Che tutto questo appaia come se fosse morto da giorni? Che il gatto fosse davvero morto e vivo, come insisterebbe Copenaghen, finché qualcuno non aprisse la scatola e quindi stabilisse l’intera sequenza di eventi passati? Sì. Esattamente. (A meno che la coscienza del gatto non valga come osservazione, in modo che la funzione d’onda iniziale collassi lì in quel momento, e non abbia bisogno di aspettare che un essere umano apra la scatola giorni dopo). In questo estratto, Lanza riprende il famoso paradosso del gatto di Schrödinger, ed è assolutamente d’accordo con lui nel considerare, fino al momento dell’osservazione (escludendo quella del gatto, che in realtà essendo un organismo vivente, è ovvio sia presente) esista uno stato dove siano possibili stati di probabilità apparentemente inconcepibili. Se non vi è chiaro cosa si intenda con “funzione d’onda” e “collassamento” della stessa, senza addentrarci in fondamenti di fisica, vi basti per il momento pensare che esiste un concetto di dualismo onda-particella, dove una particella (di cui noi e tutto l’universo è costituito) può essere pensata sia come qualcosa di “fisico”, con una propria massa, sia come una funzione che definisce una nuvola di probabilità di stati possibili di quella particella, ossia proprio la funzione d’onda. Nel momento dell’osservazione (in termini fisici, della misurazione), questa nuvola di probabilità “collassa” in una precisa “casistica” che qui è rappresentata nel trovare il gatto vivo o morto.
Nel libro vengono presentati i sette principi del Biocentrismo, ma preferisco parlarvene, insieme all’esperimento della doppia fenditura, nel passo in cui farò riferimento alla versione italiana del testo di Lanza.
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