• Febbraio 2016 •

La prima vola che vidi questo libro fu in un autogrill, su di un suo espositore apposito, di quelli che gli esperti di marketing preparano apposta per fartelo prendere in mano, mosso da un impulso non identificabile che il tuo cervello non percepisce come l’amo a cui hai abboccato. Questa parte di mente che viene telecomandata (avevo già il libro in mano) lascia presto spazio a quella razionale, e dopo aver letto il sommario decisi di riporlo, seppur incuriosito. Si può fuggire dalle influenze date dalle reti dei pescatori del marketing, ma quando la serendipità entra in gioco, non è utile ignorarla per due volte. Non lo trovai più in autogrill, ma la curiosità che indusse rimase anche nelle settimane successive, fino a che riapparve in offerta come ebook, e a quel punto non ebbi più scuse. Sto parlando del libro Il Potere del Cervello Quantico di Italo Pentimalli, e la prima sottolineatura che riemerge mi porta ancora oggi ad un tema che non sono riuscito completamente a governare, e probabilmente questo avverrà ancora per molto tempo (per sempre?) perché:

Ogni cosa che ti infastidisce è, in qualche modo, un riflesso di te stesso, una cosa di te che ancora devi sistemare.

Il concetto dello specchio credo sia abbastanza chiaro per tutti, ossia il mezzo attraverso il quale siamo in grado di vedere riflesso qualcosa di noi, in questo caso non necessariamente la nostra immagine fisica. Questo concetto lo si ritrova in molti contesti (il primo che mi viene in mente è quello relativo ai 7 specchi esseni), ma credo che fondamentalmente tutti fanno riferimento alla proiezione di caratteristiche personali che non vogliamo e per le quali cerchiamo una modalità per sbarazzarcene. Questo “portare fuori” da noi porta un momentaneo sollievo, fino a che la proiezione su di un altro individuo di quelle caratteristiche (“sue” ai nostri occhi, ma “nostre” in realtà) non riaccendono il turbamento che volevamo eliminare.

Prima di procedere, la prossima sottolineatura che riprende una citazione di William Edwards Deming definisce un punto fermo:

Fare del proprio meglio non è abbastanza; prima bisogna sapere cosa fare, poi fare del proprio meglio.

Il sapere cosa fare però non è scontato, anche perché implica il fatto di avere sotto controllo tutti gli elementi del problema da affrontare, non considerando il fatto che

Sembra che il cervello elabori fra gli 11 e i 40 milioni di bit di informazione ogni secondo. Ma… porta allo stato di coscienza solo meno di 50 bit!

Questi pochi bit rappresentano la parte cosciente della nostra mente, ma la gran parte delle informazioni è elaborata dalla nostra parte inconscia. Come affermava Carl Gustav Jung:

Rendi cosciente l’inconscio altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino

Stiamo quindi parlando di una necessaria presa di coscienza (è proprio il caso di dirlo) per evitare che le scelte siano prese dall’inconscio e il momento migliore per farlo è ora, altrimenti, procedendo con le citazioni di persone di spicco del passato, come affermò Martin Luther King:

Può darsi non siate responsabili per ciò che vi è accaduto, ma lo diventerete nel momento in cui non farete nulla per cambiarlo.

Questo spunto credo sia interessante, perché ci permette di affrontare un tema importante per guidare la nostra vita senza subirla. Cosa significa “non fare nulla”? Troppo spesso

prendiamo decisioni a livello inconscio, e poi le “giustifichiamo” a livello razionale

quindi crediamo prima di tutto di aver deciso di intraprendere quella determinata azione, ma soprattutto la nostra mente si autoconvincerà che quella sia la strada corretta, cadendo in un bias cognitivo di conferma.

A questo punto siamo arrivati a una sottolineatura che ancora oggi mi fa riflettere:

Spesso preferiamo essere nel giusto piuttosto che essere felici.

Molte volte, soprattutto in passato, ma ancora oggi, mi sono trovato nella situazione di difendere una mia posizione o un mio pensiero “giusto” senza prendere in considerazione che questo potesse annientare il mio interlocutore o comunque portarmi ad un finale che non fosse quello desiderato. Questo avviene principalmente per due aspetti:

  • non avere ben chiaro quale sia il nostro obiettivo, che ci porta come scritto prima a non sapere cosa dobbiamo fare, prima di fare la cosa “giusta”
  • considerare che “giusto”, insieme a “sbagliato”, è solo la dicotomia dell’essere, ma che in realtà questa distinzione è spesso più sottile di quello che pensiamo e dipende da ciò che è sedimentato nel nostro inconscio

Lasciamo spazio alla nostra felicità, per scoprire che non esistono dicotomie che in qualche modo possano dividerne l’essenza in due parti contrastanti. Dopo aver letto questa frase non cadere in forme di pensiero classiche quali “Ma io sono fatto così” o “La mia felicità non dipende solo da me” perché come vedremo è possibile cambiare, e questo cambiamento è assolutamente alla nostra portata e, anzi, dipende solo da noi.

Fino a qualche anno fa, c’era una falsa credenza che mi aveva portato a convincermi che ormai per me i giochi erano fatti e nulla poteva influenzare la parte fisica della mia mente, ossia il cervello. Si diceva che le sinapsi fra i neuroni venissero create nei primi anni di vita, fino all’età di circa sei anni, per poi lasciarci con quella “dotazione intellettiva” per il resto della nostra vita. Se questo fosse vero (come inizialmente credevo in base alle ricerche dell’epoca) non avremmo la possibilità di modificare il nostro cervello, con ciò che ne consegue, e potremo solo sfruttare al meglio quanto costruito nei primi anni di vita. Fortunatamente le ricerche sul nostro cervello hanno portato a nuove scoperte che smentiscono quanto creduto precedentemente: sto parlando della neuroplasticità che è

la capacità del sistema nervoso di modificare l’intensità delle relazioni interneuronali (sinapsi), di instaurarne di nuove e di eliminarne alcune. Questa proprietà permette al sistema nervoso di modificare la sua struttura e la sua funzionalità. E questo a qualsiasi età.

Questa scoperta mi diede nuova spinta per “investire” il mio tempo nello sviluppo della mia mente, non tanto in termini di nuovo “sapere”, quanto piuttosto per plasmarla secondo la mia volontà, rimodellando le caratteristiche che avevo acquisito negli anni e che non apprezzavo. Quello che volevo inizialmente era annullare il mio ego e più in generale hackerare il mio subconscio, anche se non avevo ancora le idee precise su quali fossero i passi da compiere per intraprendere questa strada. Tornerò nei prossimi passi su questi argomenti e anche su quanto riporta la prossima sottolineatura:

Riassumendo gli esiti degli studi di Jung e Pauli […] Il principio di base è che, pur considerandoci entità distinte e separate dal tutto, in realtà siamo parte di un sistema più vasto costantemente collegato.

Questo collegamento è più semplice immaginarlo se ragioniamo in termini energetici o vibrazionali, piuttosto che come una “mente fisica” e infatti, come ho scritto nel passo Chimica mentale

I pensieri sono forme di energia.

Questi spunti che ti porto potrebbero sembrarti assolutamente distanti dal tuo modo di pensare, oppure al contrario risvegliare qualche reminiscenza di qualcosa che ti sembra di aver già intuito, ma di cui non riesci ancora a delineare dei tratti definiti. Nel libro, a tal proposito, viene riportata una citazione di Thomas Stearns Eliot che dice:

Noi non cesseremo l’esplorazione. E la fine di tutte le nostre ricerche sarà di giungere là dove siamo partiti, e conoscere il luogo per la prima volta.

Questo ritrovarsi al punto di partenza non deve scoraggiare, quanto piuttosto riscoprire tutto quello che è sempre stato in noi e in nostro potere, ma finalmente osservandolo senza strati mentali di interpretazione, che uno dopo l’altro ne nascondono la forma e il significato. Ogni singolo passo verso questo punto di arrivo/partenza è determinato dalla nostra volontà, o in altri termini dai nostri pensieri (consci, ma soprattutto inconsci). Nel giungere alla mia ultima sottolineatura del libro ritrovo la spiegazione di un termine che definisce una pratica che può essere d’aiuto nel focalizzare la nostra attenzione e i nostri pensieri verso una strada ben precisa, senza che questi fluiscano incontrollati come normalmente accade, definendo una direzione che comunque seguiremo senza accorgercene.

Mantra è un termine sanscrito che indica il “veicolo o strumento del pensiero o del pensare”: un’espressione o formula sacra indirizzata a un Deva (parola che indica “ciò che è divino”). La parola deriva dall’insieme dei due termini, MAN e TRA. Il verbo sanscrito MAN (“pensare”, da cui manas: “pensiero”, “mente”, “intelletto”) unito al suffisso TRA, che corrisponde all’aggettivo sanscrito krt (“che compie”, “che agisce”). Un Mantra è dunque una FORMA DI PENSIERO che COMPIE, che AGISCE.

Come già detto, i pensieri sono forme di energia, quindi influenzano quello che ci circonda. La ripetizione continua di un pensiero quindi non fa altro che rafforzare quella particolare vibrazione associata ad esso. Inoltre, quando questo pensiero non sarà più una mera ripetizione conscia, ma diventerà parte del nostro inconscio, otterremo una focalizzazione costante ben precisa. È come imparare ad andare in bicicletta o guidare l’auto. Ai primi tentativi saremo goffi e sbaglieremo, e magari saremo tentati di lasciar perdere ma la costanza e la determinazione ci portano al risultato, fino al punto in cui saremo in grado di andare in bici o in auto senza porre un’attenzione focalizzata, perché gli automatismi sono già diventati parte di noi. Non pensiamo quindi al termine mantra come strani suoni emessi da un santone sulla montagna, ma ricordiamoci che la nostra attenzione focalizzata su pensieri specifici porterà sicuramente all’avvicinamento verso l’oggetto del pensiero stesso. Ricordiamoci sempre che questo vale sia per i pensieri positivi, che per quelli negativi, quindi evitiamo di rimuginare continuamente su ciò che non va, perché altrimenti sarà quello il nostro mantra che ci invischierà sempre più nelle situazioni da cui vogliamo fuggire.

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