• Settembre 2016 •
Devo dire che, come spesso mi accade, mi ricordo molto bene di questo libro, Il potere di adesso di Eckhart Tolle, ma prima di rileggere le mie sottolineature non sarei stato in grado di riassumere quanto vi avevo trovato al suo interno, anche se ciò che mi aveva lasciato era qualcosa di diverso da altre letture. È proprio in questo stato che mi appresto a leggere la prima sottolineatura, che mi ricorda che
c’è solo una brevissima distanza tra la parola Essere e l’esperienza dell’Essere.
Come spesso accade, per spiegare un concetto, bisogna prima averne fatta esperienza. Cosa vuol dire quindi “Essere”? L’hai mai provato? Non pensare di avere pronta la risposta ovvia, perché questa dipende dalla comprensione della domanda, e quindi dalla definizione del termine, che a sua volta dipende da cosa abbiamo provato (non ha molto senso in questo caso leggere il dizionario). Come uscire quindi da questo circolo vizioso?
Facciamo un piccolo esperimento. Mettiti seduto comodo (meglio su di una sedia con schienale) con le mani appoggiate sulle gambe. Chiudi gli occhi e respira normalmente. Prova per quello che puoi a non concentrarti sui pensieri che passano nella tua mente, ma poni l’attenzione sul tuo respiro. Dopo qualche tempo, quando la mente si sarà calmata un po’, fai caso allo stato in cui ti trovi. Hai coscienza di essere? La risposta è sicuramente si (lo era anche prima di questo esperimento), ma forse ora riesci a comprendere che possono esserci diversi stati dell’Essere. Una cosa è “pensare” di essere, l’altra è Essere, e infatti
la percezione della tua stessa presenza, non è un pensiero. Sorge al di là della mente.
La prossima sottolineatura mi aveva molto colpito, perché recita
Il segreto della vita è “morire prima di essere morti”, e scoprire così che non c’è morte.
La morte è un concetto su cui potremmo soffermarci indefinitamente, senza mai giungere a un dunque, ma in questo caso mi domandavo cosa significasse “morire prima di essere morti”, e forse oggi che mi pongo nuovamente questa domanda dopo diversi anni, mi è più facile rispondere. Se hai fatto l’esercizio che proponevo prima sarà più semplice comprendere che, se prendiamo in considerazione il fatto che l’ambito materiale dell’esistenza è ben diverso dall’Esistenza a cui mi sto riferendo, che va al di là di ciò con cui ci identifichiamo, il “morire prima di essere morti” è proprio questa esperienza. E da questa esperienza deriva la scoperta che non c’è morte. Non sto parlando dell’anima, che è solo un altro costrutto del nostro cervello, o meglio del nostro Ego, che cerca di sopravvivere facendoci credere che c’è qualcosa ad uno stato più elevato del nostro copro che rimane dopo la morte, perché comunque quello è solo un altro tipo di identificazione individuale, mentre io qui mi sto riferendo all’Esistenza universale. Nei miei passi precedenti mi è capitato di chiamarlo Tutto Unico, ma ora preferisco chiamarla Coscienza (con la C maiuscola) a differenza di quella che normalmente chiamiamo coscienza (con la c minuscola), riferita alla percezione di noi stessi e di tutto quello che ci circonda. Torneremo su questo concetto, che merita di essere approfondito maggiormente, ma per il momento procediamo con le mie sottolineature, che per questo testo sono molto numerose, ripartendo da una citazione di Meister Eckhart, maestro spirituale del XIII secolo, che disse:
Il tempo è ciò che impedisce alla luce di raggiungerci. L’ostacolo più grande che ci separa da Dio è il tempo.
Se qui sostituisci alla parola Dio la parola Coscienza, riscopriamo un concetto che ho introdotto in un altro passo, Zero Limits, ossia il tempo che esiste (nella nostra mente), ma non è reale. E se questo esistere nella nostra mente smettesse di essere così preponderante, cosa accadrebbe? Troviamo la risposta nella prossima sottolineatura che afferma
Liberarsi del tempo significa essere liberi dal bisogno psicologico del passato e del futuro, intesi rispettivamente come fonti di identità e appagamento.
e quella successiva ammonisce con
Avere più tempo non ti può liberare dal tempo.
Il tempo crea quindi la nostra identità, attraverso il nostro passato, ma proviamo a chiederci se questa nostra identità esisterebbe ancora senza il passato. Un aiuto alla riflessione potrebbe arrivare da questo spunto
Il passato non può sopravvivere in tua presenza. Può farlo solo in tua assenza.
ma per comprenderlo è bene ricordare che qui con presenza si intende la nostra consapevolezza, e quindi con assenza il nostro comune stato di addormentamento in balia della nostra mente. Tornando a noi, perdendo il passato, e quindi il tempo, perderemmo la nostra identità o finalmente scopriremmo che quella che chiamiamo identità non è altro che la nostra identificazione con il sogno e la nostra vera essenza è quella sensazione di esistere che abbiamo provato nell’esperimento di prima?
L’essenza di tutto, che è sempre stata e sempre sarà, è eternamente presente in uno stato Non Manifestato di unità e perfezione, al di là di qualsiasi cosa che la mente umana possa immaginare o comprendere.
Le ultime parole di questa sottolineatura le puoi vivere in due modi: una sorta di sollievo nel leggere che questo concetto non lo puoi capire con la mente, oppure un invito ad abbandonare quella mente, per esperire, più che comprendere, queste tematiche.
Proviamo a capire meglio cosa si intende per Non Manifestato, sempre tenendo a mente quell’esperienza di esistenza che abbiamo vissuto prima. Prendiamo in esame uno stato in cui siano presenti contemporaneamente tutte le possibilità, e un altro stato che invece rappresenta quello che percepiamo attraverso i nostri sensi (che comunemente, ma in maniera errata, chiamiamo realtà).
La prossima sottolineatura ci dà un indizio affermando che:
Il nulla (lo spazio) è la comparsa del Non Manifestato come fenomeno esteriorizzato in un mondo percepito dai sensi.
Ma cosa significa realmente? Il discorso nel testo è più ampio, ma per farvi comprendere come io intendo questo concetto, direi che i nostri sensi fanno cristallizzare l’insieme di tutte le possibilità in una sola casistica ben precisa, che come ho scritto prima confondiamo con la realtà.
Tolle prosegue poi chiedendo quale sia l’essenza delle cose e porta un esempio pratico che ritroviamo di seguito:
Qual è l’essenza di questa stanza? I mobili, i quadri e tutto il resto si trovano nella stanza, ma non sono la stanza. Il pavimento, le pareti e il soffitto ne definiscono i confini, ma nemmeno questi sono la stanza. Quindi, qual è l’essenza della stanza? Lo spazio, ovviamente, lo spazio vuoto, senza il quale non ci sarebbe nessuna stanza. Dal momento che lo spazio è “nulla”, possiamo dire che ciò che non c’è è più importante di quel che c’è.
Rileggendo queste righe mi torna in mente automaticamente la citazione del Piccolo Principe “l’essenziale è invisibile agli occhi”, e in effetti dobbiamo ripartire da questo se vogliamo andare oltre quello che ci svelano i nostri sensi. Torniamo quindi all’esercizio all’inizio di questo passo, dove in maniera molto semplificata ho cercato di farti capire cosa voleva dire sottrarre spazio alla nostra mente per scoprire qualcosa che altrimenti è sempre sovrastato dalle nostre percezioni. Da un altro punto di vista, possiamo dire che:
Più forte è l’ego, più sei distante dalla tua vera natura.
In passato ci sono stati dei periodi in cui ho tentato attivamente di distruggere il mio ego, fino a che ho capito due cose:
- non è possibile eliminare il nostro ego
- il nostro ego è utile, se ne siamo consapevoli
È proprio questa seconda scoperta che mi ha permesso di capire che, tramite l’osservazione di me stesso, alcuni comportamenti indotti dal mio ego (qui inteso come tutti gli strati che ricoprono il mio essere) potevano essere riconosciuti come non miei, e quindi modificati.
La prossima sottolineatura sembra quasi fuori contesto rispetto alle altre e riporta:
La felicità dipende da condizioni percepite come positive, la pace interiore invece no.
Per molto tempo ho rincorso la felicità, cercando di capire cosa fosse, passando per la sensazione che più che “qualcosa” rappresentasse uno stato mentale, per poi mutare nella mia ricerca per raggiungere la pace interiore, non in opposizione alla felicità, quanto piuttosto come una consapevolezza della sua origine. Se sei in pace, in quel momento non hai desideri, e se non vi sono desideri, significa che in quello stato hai tutto ciò di cui hai bisogno. Possiamo quindi dire che siamo ritornati al concetto di felicità, smettendo di rincorrerla, ma in qualche modo creandola.
Con la prossima sottolineatura ritorniamo sul tema di ciò che è reale e ciò che non lo è.
Niente che fosse reale è mai morto, solo i nomi, le forme e le illusioni.
Qui Tolle separa molto chiaramente il concetto di realtà e quello di morte. Questo vale anche per la nostra morte? La domanda è ovviamente retorica in quanto non esistono più tipi di morte. Quindi non siamo reali. La risposta dipende anche in questo caso da quello in cui ci identifichiamo. Come scritto in precedenza, se pensi di essere un corpo, non c’è via di scampo a questo finale, ma spero di averti per lo meno fatto ipotizzare che potresti essere ben altro.
Ricordati che la tua percezione del mondo è un riflesso del tuo stato di consapevolezza. Non sei separato da esso e non esiste nessun mondo oggettivo là fuori. In ogni istante, la tua consapevolezza crea il mondo in cui vivi.
Nel creare il tuo mondo, nel senso più ampio, crei anche il tuo corpo (e quello degli altri), ma
Quando sei pienamente presente e le persone attorno a te manifestano un comportamento inconsapevole, non senti il bisogno di reagire, perciò non attribuisci loro nessuna realtà.
Ma cosa significa pienamente presente? Significa che tu (la tua coscienza (o meglio la tua Coscienza)) non sei più disturbato dal brusio incessante dei tuoi (della tua mente (o meglio del tuo ego)) pensieri e quindi stai semplicemente facendo esperienza del quieora. Se invece lasci agire indisturbata la mente, ti ritrovi guidato con il pilota automatico verso i comportamenti che il tuo ego ha deciso per te, senza chiedere il permesso, addirittura facendoti immaginare che fossi tu a fare le scelte.
Nell’ultima sottolineatura, ritrovo qualche commento dell’autore sul funzionamento della mente.
La mente aderisce sempre a ciò che è noto. L’ignoto è pericoloso perché essa non vi esercita nessun controllo. Ecco perché alla mente non piace il presente e lo ignora. La consapevolezza del presente crea un intervallo non solo nel flusso della mente, ma anche nel continuum di passato e futuro.
Qui si fonde un concetto che è noto ai neuroscienziati, ossia che il cervello ragiona per associazioni rispetto a quanto già conosce, contrapposto al momento presente, che non ha collegamenti con il passato e il futuro, in quanto questi sono presenti solo all’interno della nostra mente, che scompare nella consapevolezza del quieora.
È solo in quell’istante che possiamo fare esperienza della Realtà, ritrovando quell’incessante sensazione di Essere.
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