• Maggio 2014 •

Ti sei mai chiesto cosa significa meditare? Quando ero bambino la società occidentale si figurava chi meditava (senza avere per nulla chiaro cosa significasse) immaginandolo come qualcuno (tipicamente orientale) isolato fra le montagne, preso per l’appunto a meditare. Questa visione non mi tornava per niente quando mi dicevano “Vai a meditare su quello che hai fatto!”, oppure quando una persona affermava “Sto meditando sul da farsi”. Quelle frasi mi sembravano sottolineare una forte componente mentale, riferita a pensare intensamente a qualcosa. Come tutti i bambini, lasciavo agli adulti queste elucubrazioni e non mi ponevo minimamente il problema di cosa volesse dire meditare (forse perché i bambini lo sanno senza chiederselo). Diversi anni dopo, la mia solita curiosità per le cose mi ha portato a voler meditare, ovviamente senza sapere nulla su come approcciare la cosa! Come tante delle cose che faccio senza sapere, ho semplicemente “deciso” che, per sentito dire, per meditare bisognava concentrarsi sul respiro. Visto poi che nell’immaginario descritto prima, i santoni sono sempre seduti con le gambe intrecciate (in quel modo per me impossibile), mi sono semplicemente messo seduto per terra, al buio, con le gambe intrecciate quanto potevo, respirando profondamente, per un certo tempo indeterminato (breve). Ho fatto così per un po’ di sere, ma erano più i fastidi (dal male alla caviglia appoggiata per terra, al mal di schiena) che i ricercati cambiamenti (mi sembrava di sentirmi “diverso”, ma forse era solo perché era un cambiamento quello che cercavo).

È proprio in quei giorni, che la già nominata Serendipità mi ha fornito la soluzione, mettendomi fra le mani il libro Libera la mente di Andy Puddicombe. Prima di riportare quello che ho trovato un metodo alla portata di tutti, ma soprattutto alla mia, anche in questo secondo passo volevo iniziare con le sottolineature che avevo lasciato come riferimento, la prima delle quali riporta:

Se per essere felici diventiamo dipendenti, vuol dire che siamo in trappola.

Tutti vogliamo essere felici, ma la ricerca continua di questa felicità ci porta a compiere continue azioni (tipicamente di appagamento materiale) per ricercare costantemente quel tipo di emozione. Il problema è sia di dipendenza, che di assuefazione in qualche modo, poiché le azioni fatte precedentemente non bastano più a raggiungere la felicità che desideriamo, e dobbiamo compierne sempre di nuove per arrivare a quell’asticella che regoliamo sempre un po’ più in alto. Che fare allora? A mio avviso, sicuramente smettere di cercarla questa felicità, e viverla semplicemente, senza aggrapparsi ad essa per finire trascinati per qualche passo e poi ritrovarsi a terra a cercarla nuovamente. Questo “vivere” vale in maniera duale anche per la tristezza (emozione senza la quale la felicità non esisterebbe), che non va respinta ad ogni costo esaurendo le proprie energie in questo sforzo immane. Bisogna quindi essere permeabili alle emozioni e farsi attraversare da loro, essendo presenti, ma senza aggrapparsi o respingerle. Questo è tanto più difficile quanto più siamo immersi nel flusso vorticoso delle nostre vite, dove le emozioni non sono solo due, e rimanere a galla in questo fiume in piena ci sfianca continuamente. La seconda sottolineatura dice infatti:

È abbastanza difficile staccare quando la spina è costantemente nella presa.

Mindfulness

Nel libro si trova un paragone che rende chiara l’idea di come accorgersi di questo flusso costante di pensieri e divenire il loro spettatore, piuttosto che finirci in mezzo. Immagina una strada, con dei veicoli che vi circolano sopra. Pensare di essere alla guida di uno di quei veicoli o seduti sul bordo della strada cambia completamente la prospettiva, indipendentemente dal traffico che hai immaginato. Prendiamo questa seconda ipotesi. Pensa quindi di osservare dal bordo della strada/mente i veicoli/pensieri che scorrono. Ci saranno momenti di forte traffico, e momenti di calma piatta, ma in entrambi i casi tu sarai osservatore presente. Ed ecco la chiave di volta che cercavo! La meditazione, o meglio la mindfulness – che a differenza della prima che richiede un’intenzione precisa, osserva dove la mente si rivolge spontaneamente – non significa l’assenza di pensiero (come avevo sempre pensato), ma la consapevolezza. Questo significa che prima di tutto nessuno pretende (e non devi farlo nemmeno tu quindi!) che la strada sia sempre priva di macchine, ma piuttosto che tu sia presenti ai tuoi pensieri e quindi capisca un’altra cosa fondamentale: tu non sei i tuoi pensieri. Potremo continuare a sviluppare questo tema approfondendolo ulteriormente, ma ne parleremo nuovamente in uno dei prossimi passi.

La pratica

Ora è giunto il momento di darti qualche piccolo consiglio su come cominciare, se sei curioso di provare questo approccio personale di presenza a te stesso. Nel libro i concetti sono sviluppati maggiormente, ma credo che questo piccolo riepilogo sia sufficiente per farsi una prima idea. Ci sono centinaia di siti che parlano dell’argomento, quindi non voglio assolutamente paragonarmi ad uno di quelli, ma solo sottolineare alcuni concetti che sono stati utili per me. Prima di tutto, rallenta! Non puoi pensare di cominciare questo processo passando da 100 a 0 in un istante, quindi prima di cominciare inizia a portarvi nel giusto approccio mentale. Non servono posizioni particolari (come quella che mi ero immaginato da autodidatta), ma cerca di mantenere dritta la schiena; io ad esempio mi siedo semplicemente su di una sedia, appoggiando le mani sulle mie gambe. Parti pure con gli occhi aperti e qualche respiro profondo, per poi chiuderli e cominciare a “sentirti”: il peso del tuo corpo sulla sedia, i piedi per terra, le mani sulle cosce. Sii curioso di ciò che senti e prova a utilizzare anche gli altri sensi, se vuoi, come i rumori della stanza o anche il sapore che senti in bocca. Puoi creare un tuo percorso personale di percezione, dove probabilmente la cosa che ti verrà più facile è partire dalla testa ed esplorare tutto il corpo fino ai piedi. Ora è il momento di concentrarsi sul respiro, che non dev’essere modificato in alcun modo particolare, perché quando non ci mettiamo di mezzo, il nostro corpo sa benissimo cosa fare. Le prime volte (poi io personalmente nel tempo ho notato che questo mi distoglieva dall’ascolto) nel libro viene consigliato di contare i respiri (dentro di te) fino a dieci; alla prima inspirazione conterai uno, all’espirazione due e così via. Le prime volte ti accorgerai che inizierai a pensare ad altro dopo pochi conteggi. Non arrabbiarti e sii gentile con te stesso, ripartendo da uno. Quando arriverai a dieci, lascia la mente libera, senza controllarla in alcun modo. Quando lo riterrai opportuno, ritorna alle tue sensazioni fisiche che ti riporteranno all’ambiente in cui ti trovi e successivamente riapri gli occhi, dandoti il tempo di adattarti nuovamente al punto da cui eri partito.

La consapevolezza su cui punta questa tecnica, può essere ricercata in ogni momento della giornata, e non solo quando si è seduti su di una sedia a praticare. Essere presenti la maggior parte della giornata, partendo anche solo da piccoli momenti, è quello che negli anni mi ha di più aiutato a cambiare la percezione del mondo che mi circonda, dandomi nuovi occhi. Vuoi un esercizio pratico prima di salutarci? Datti come obiettivo di essere presente ogni volta che attraversi una porta nel corso della giornata. Ti sembra facile? Prova per rendertene conto.

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