• Febbraio 2017 •
Dopo aver letto Il potere di adesso, come già avvenuto in passato con altri autori, le considerazioni di Eckhart Tolle mi avevano lasciato un uno stato misto di comprensione parziale e di ricerca di colmare quei vuoti. Ecco quindi che fu quasi naturale ritrovarsi fra le mani Un nuovo mondo.
Come ogni volta, la rilettura della prima sottolineatura mi riporta a ciò che mi aveva colpito, lasciandomi l’opportunità di capire chi ero allora, supportato da chi sono adesso (anche se ormai dovresti aver iniziato a comprendere che parlare di istanti temporali differenti al di fuori della nostra mente non ha molto senso). Questa volta ritrovo
Peccato è una parola che è stata grandemente fraintesa e mal interpretata. Tradotta letteralmente dal greco antico in cui fu scritto il Nuovo Testamento, peccare significa mancare l’obiettivo come un arciere che manca il bersaglio e così, peccare significa mancare il punto dell’esistenza umana.
Rileggendo queste parole, quello che subito risalta nel flusso dei miei pensieri è il concetto di senso di colpa. Questo perché senza peccato non c’è senso di colpa. Proprio questa sensazione, che tutti noi conosciamo, ha un potere incredibile su di noi, e questo potere non è mai in mano nostra, perché c’è sempre qualcuno che lo utilizza per guidare le nostre azioni e i nostri pensieri, che sia al di fuori di noi (i nostri genitori, la chiesa, gli insegnanti ad esempio) o al nostro interno (l’ego, l’inconscio o le idee autolimitanti). Inoltre, quasi sempre il concetto di peccato, con il conseguente senso di colpa che ne consegue, è strettamente collegato a qualcuno da cui dobbiamo essere perdonati, instaurando così un circolo vizioso da cui è difficile uscire.
Leggere quindi questa nuova concezione del peccare, come mancare il bersaglio, permette di porre le basi per nuovi approcci. Prima di tutto, mancare il bersaglio è un errore, non un peccato, quindi non porta con sé sensi di colpa. Se mai ti venisse in mente il fatto che aver mancato il bersaglio è dovuto al fatto che non ti sei preparato abbastanza, non hai messo cura nella mira o potevi fare meglio, sappi che stai introducendo quel “qualcuno” interno descritto pocanzi, che induce un senso di colpa e, di fatto, trasforma l’errore in peccato. In un errore non c’è giudizio, prima di tutto tuo, e sappi che un errore è solo un passo verso una migliore comprensione. C’è sempre una nuova freccia da scagliare, e se pensi che non sia così ritorniamo ancora una volta a un concetto già espresso: le idee autolimitanti. Ciò che sta avvenendo in questo momento nella tua mente è un continuo rimpallo fra i tuoi pensieri e chi li giudica. La prossima sottolineatura riprende quello che ho appena affermato sotto questa forma:
Quando siete consapevoli che state pensando, quella consapevolezza non è parte del pensiero. È una diversa dimensione della coscienza. Ed è quella consapevolezza che dice “IO SONO”. Se in voi non ci fossero altro che pensieri, non sapreste nemmeno che state pensando. Sareste come un sognatore che non sa di stare sognando. Sareste così identificati con ogni pensiero come il sognatore lo è con ogni immagine del sogno.
L’immagine del sogno viene ripresa spesso in molti testi, che estendono poi il concetto spingendosi a dire che siamo costantemente addormentati e quindi immersi in un sogno più grande. Questo concetto serve a paragonare te che sogni e ti immedesimi nel sogno, ma al risveglio sei cosciente del fatto che fosse un sogno, con qualcosa più grande di te che sta sognando quella che a te appare come la vita reale. Ma tu hai un’arma in più rispetto a te stesso immerso nel tuo sogno, e sta a te usare quest’arma a tuo favore o contro di te. L’arma è la tua mente, e prima ti accorgi che non è te, prima sarai in grado di sfruttarla per comprendere meglio chi sei realmente. Prima di tutto smettila di lottare con te stesso, in un continuo desiderio di aver ragione (per sentirti rassicurarto) perché
non vi è nulla che dia forza all’ego più che l’aver ragione. Aver ragione è una identificazione con una posizione mentale, un punto di vista, un’opinione, un giudizio, una storia. Per aver ragione, avete bisogno di qualcuno che abbia torto, e così l’ego ama dar torto per aver ragione. In altre parole, avete bisogno di dar torto a qualcuno per rinforzare il senso di chi siete.
È qui che mi torna in mente questa frase di cui non ricordo più la fonte: “Preferisci aver ragione o essere felice?” Perché troppo spesso tutto si riduce a quello. Preferisci, dal lato della ragione, elevarti rispetto all’altro alimentando il tuo ego, o semplicemente lasciare da parte questa lotta, per ritrovare la serenità? Qualsiasi ragionamento sia indotto in te da queste mie parole
Un pensiero può, nella migliore delle ipotesi, indicare la verità, ma non è mai la verità
Questo perché non esiste comprensione senza esperienza, e quello che esperisci lascia dentro di te un nuovo livello di consapevolezza, che non è descrivibile a parole, anche perché
Definire voi stessi con un pensiero è limitarvi
e
Parole e concetti separano la vita in frammenti che non hanno alcuna realtà
Tutti questi pensieri che attraversano la nostra mente, che nascano da noi o dall’ego (o dalla Coscienza) inducono, anche quando non ce ne accorgiamo, delle sensazioni nel nostro corpo, perché
l’emozione è la reazione del corpo alla mente.
Diviene quindi chiaro che
L’ego non è solo la mente inconsapevole, la voce nella testa che finge di essere voi, ma è anche le emozioni inconsapevoli che sono la reazione del corpo a quello che la voce nella testa sta dicendo.
Quando queste emozioni inconsapevoli ci travolgono, le nostre reazioni, psicologiche e fisiche, ci possono portare a un punto di vista che ci allontana dalla consapevolezza. Con questo intendo che, ad esempio, reagiamo con un attacco a quello che ci sembra un attacco, oppure ci sentiamo abbandonati, ma in realtà siamo noi che ci allontaniamo. In effetti
potete anche rendervi conto che state facendo agli altri ciò che credete gli altri stiano facendo a voi. E smettere così di vedervi come vittime.
Smettere di essere vittima credo sia stata la presa di coscienza più utile che abbia adottato, perché mi ha tolto un peso che mi trascinava a fondo. Non essere vittima infatti implica che non c’è nessun carnefice, e questo ci pone immediatamente in un altro equilibrio con quello che ci circonda. Spesso per giungere a un cambiamento come questo, ci vuole una scintilla, che avvia il processo che descrivo nei miei passi, perché
l’irrompere del disordine nella vita di una persona e il risultante crollo di una mentalità che definisce se stessa sensata possono rappresentare l’apertura a un ordine più alto.
In questo percorso, spesso capita di tornare sulle proprie considerazioni, comprendendole più a fondo successivamente rispetto a quando sono nate. È questo il caso della prossima sottolineatura:
Vi è il sogno e vi è il sognatore del sogno. Il sogno è una breve rappresentazione di forme. È il mondo, abbastanza reale, ma non assolutamente reale. E poi vi è il sognatore, l’assoluta realtà nella quale il sogno va e viene. Il sognatore non è la persona. La persona è parte del sogno. Il sognatore è lo schermo sul quale il sogno appare, colui che rende il sogno possibile. È l’assoluto dietro il relativo, l’assenza di tempo dietro il tempo, la coscienza dentro e dietro la forma. Il sognatore è la coscienza stessa, è chi siete.
Il concetto di sogno in cui siamo immersi l’ho già discusso in diversi miei passi, ma rileggendo questa sottolineatura si introduce il concetto di schermo, che probabilmente al tempo della lettura non avevo colto appieno. Me lo ha fatto capire solo molto tempo dopo Paolo Marrone, l’autore di diversi libri che riporterò in passi successivi. Nei suoi video spiega molto bene il concetto di schermo, che rappresenta la Coscienza in questa metafora, e lo fa con degli esempi comprensibili da tutti. Immaginatevi di andare al cinema a guardare un film. Vi sedete e vi godete lo spettacolo, che potrebbe emozionarvi, farvi piangere, spaventarvi, soprattutto se è uno di quelli che riesce a immergervi nella storia. Quando poi uscite dal cinema, non vi verrebbe mai in mente di mettere in discussione che quello che avete vissuto non è la realtà, perché è ovvio a tutti che un film non può esserlo.
Ma allora perché è così difficile anche solo immaginare che possiamo essere in un sogno (il film al cinema) e tutto quello che proviamo non è reale?
Pensiamo un attimo allo schermo del cinema. Le immagini scorrono su di lui, che è sempre stato lì, prima della proiezione, durante il film e dopo. Tutte le immagini non lo hanno minimamente influenzato, al contrario di com’è avvenuto per le emozioni degli spettatori, ma è grazie a lui che è stato possibile “vivere” il film. Se ora la situazione vi è chiara, e sostituite lo schermo con la Coscienza, sarà più facile capire cosa significa essere immersi in un sogno. È lo schermo/Coscienza che permette l’esistenza del film/vita nel sogno, e finché noi ci identificheremo con le immagini proiettate, non capiremo mai che siamo il sognatore (la Coscienza) e non il sognato. Questo punto di vista dovrebbe anche far cadere tutti i timori che abbiamo della morte che, tornando al paragone precedente, rappresenta la fine del film (che non siamo noi) mentre come ho già detto lo schermo (la Coscienza) continua ad essere, per ricordarci che
la quiete preziosa che non ha forma è chi siete, più profondamente di qualunque altra cosa che costituisce il contenuto della vostra vita.
Continuando con la metafora appena descritta, è possibile comprendere un altro aspetto dei nostri comportamenti comuni. Immagina di essere stato invitato al cinema a vedere un film che però non è di tuo gradimento. Le premesse non sono delle migliori e con il passare delle scene davanti ai tuoi occhi sempre più provi una sensazione che può andare dalla noia, al fastidio, al completo rifiuto del film e all’abbandono della sala. Le cose che avvengono nella nostra vita hanno sempre un significato, spesso non comprensibile ad un primo sguardo o in un tempo limitato come quello dell’esperienza diretta del momento, ma noi a volte contrastiamo quel momento più o meno con forza. Questo ci mette in una posizione di chiusura o di rigetto completo, che non ci permette di comprendere il vero significato che quell’esperienza doveva portarci e inevitabilmente, magari sotto un altra forma, quell’esperienza che abbiamo cercato di scansare si ripresenta. Se invece di evitare le esperienze dolorose, ci facessimo attraversare da esse, riusciremmo da un lato ad essere permeabili (il dolore passerebbe) e dall’altro a comprendere il significato sottile di ciò che sta avvenendo, perché non saremmo impegnati a difenderci con tutte le nostre forze. Tutto questo è sintetizzato nella prossima sottolineatura, dove l’autore afferma che
Quando, invece di reagire a una situazione, vi fondete con essa, la soluzione scaturisce dalla situazione stessa
Ho fatto un esempio sulle esperienze dolorose, perché è più semplice da capire, ma quanto detto vale anche per quelle piacevoli, dove tutta la tua attenzione è concentrata sul mantenere quel piacere, dimenticando di (anche in questo caso) farti attraversare da esso vivendolo, senza perderne l’essenza concentrandoti sul mantenerlo. Potresti pensare che facendo questo si perda qualcosa, ma in realtà quello che conta è solo quello che rimane dentro di te, perché
Potete solo perdere qualcosa che avete, ma non potete perdere qualcosa che siete
Spero di averti dato degli spunti di riflessione per affrontare più consapevolmente tutto ciò che avviene nella tua vita e a questo punto vorrei giungere alla fine di questo passo con l’ultima sottolineatura, senza aggiungere nient’altro, perché credo che possa lasciarti con un nuovo punto di vista per delineare meglio il tuo percorso.
Diventate stressati quando volete arrivare al vostro obiettivo più di quanto vogliate fare ciò che state facendo
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